Lo straining, espressione ormai entrata a far parte del nostro linguaggio comune, deriva dall’inglese “to strain” ovvero stressare, mettere sotto pressione, sottoporre ad eccessiva tensione, individua una situazione di stress occupazionale. Negli ultimi anni si è fatta strada l’esigenza di fare chiarezza sulle varie criticità che possono emergere nel contesto lavorativo, in un’ottica volta a garantire al lavoratore che si trovi a vivere una situazione di disagio gli strumenti più adeguati per la tutela della sua salute psicofisica.
Nell’ ordinanza n.3977 del 19/02/2018 la Corte di Cassazione, in tema di straining ha così statuito, “al principio di diritto enunciato il Collegio intende dare continuità perché dell’art. 2087 c.c. questa Corte ha da tempo fornito un’interpretazione estensiva, costituzionalmente orientata al rispetto di beni essenziali e primari quali sono il diritto alla salute, la dignità umana e i diritti inviolabili della persona, tutelati dagli artt. 32, 41 e 2 Cost.; l’ambito di applicazione della norma è stato, quindi, ritenuto non circoscritto al solo campo della prevenzione antinfortunistica in senso stretto, perché si è evidenziato che l’obbligo posto a carico del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica e la personalità morale del prestatore gli impone non solo di astenersi da ogni condotta che sia finalizzata a ledere detti beni, ma anche di impedire che nell’ambiente di lavoro si possano verificare situazioni idonee a mettere in pericolo la salute e la dignità della persona; la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. sorge, pertanto, ogniqualvolta l’evento dannoso sia eziologicamente riconducibile ad un comportamento colposo, ossia all’inadempimento di specifici obblighi legali o contrattuali imposti o al mancato rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede”.
Con la pronuncia in commento, in altri termini, è stato fissato un importante principio, quello secondo cui anche un comportamento omissivo del datore di lavoro, o altro dirigente, che non intervenga a reprimere azioni di cui sia a conoscenza, idonee ad incidere negativamente sulla dignità del lavoratore, ovvero sulla sua serenità sul posto di lavoro, è atto a realizzare una situazione di malessere lavorativo, riconducibile all’interno della nozione di straining.
Lo straining è dunque una forma più attenuata del mobbing dato che non richiede la sistematicità, frequenza e ripetitività delle condotte vessatorie. Le pronunce giurisprudenziali sul tema fanno luce su un danno ancora oggi sottovalutato, ma sovente presente sui luoghi di lavoro.
Si rende, pertanto, auspicabile un intervento normativo in materia, che fissi in via definitiva i lineamenti del fenomeno, rispondendo alla primaria esigenza di certezza giuridica, al fine di garantire un’equa tutela di tutte le parti coinvolte nel rapporto lavorativo.
avv. Stefania Massarenti