Prestiti anti-Covid: perché serve uno scudo penale per banche e imprese

Prestiti anti-Covid: perché serve uno scudo penale per banche e imprese

Prestiti anti-Covid: perché serve uno scudo penale per banche e imprese Monica Alberti

Il “Decreto Liquidità” ha introdotto gli ormai noti finanziamenti garantiti dallo Stato a cui si aggiungono alcune deroghe al Codici Civile onde consentire la sopravvivenza delle imprese in questo difficile momento dimenticando, però, di inserire uno scudo penale che metta al riparo imprenditori ed esponenti degli Istituti di Credito nel caso in cui la temporanea iniezione di liquidità non sortisca effetti sperati e si traduca in uno stato di dissesto dell’impresa.

Al fine di favorire un’ottimale ripresa dell’attività produttiva, il Governo si è infatti impegnato a garantire particolari forme di finanziamento concesse dalle banche alle imprese senza imporre agli istituti di credito approfondite analisi per le richieste di prestito sino ad 800.000 euro, ovvero, valutazioni di merito del credito per i finanziamenti erogati sino all’inferiore soglia di 25.000 euro.

Tuttavia, l’erogazione di tali forme di prestito alle imprese in difficoltà potrebbe comportare il rischio in capo ai Direttori o Amministratori Delegati delle banche, di affrontare eventuali addebiti in sede penale a titolo di concorso non solo nei reati di bancarotta, preferenziale o semplice, altresì di ricorso abusivo al credito, contestati agli imprenditori delle società finanziate in caso di successiva declaratoria di fallimento (futura liquidazione giudiziale).

Il reato di bancarotta preferenziale punito attualmente dall’art. 216, comma terzo, R.D. 1942/267, potrebbe prospettarsi qualora, prima della dichiarazione di fallimento della società finanziata, abbiano indotto o agevolato l’imprenditore nel preferire la restituzione del prestito all’istituto di credito in danno di altri creditori sociali in violazione del principio della par condicio creditorum.

Mentre l’ipotesi di cui all’art. 217, comma primo, n. 4, R.D. 267/1942, bancarotta semplice, si potrebbe configurare a titolo di concorso in capo a dipendenti delle banche, ovvero esponenti delle stesse, laddove il finanziamento non abbia purtroppo condotto all’esito auspicato, ovvero, al risanamento dell’impresa in crisi che si trovava in stato di decozione già al momento della richiesta di erogazione del prestito.

Altra ipotesi di reato che potrebbe prospettarsi è quella di ricorso abusivo al credito di cui all’attuale art. 218 L.F., nel caso in cui l’istituto bancario provveda a concedere il credito richiesto dagli amministratori nonostante la società versi già in una situazione economica particolarmente delicata, concorrendo in tal modo in un aggravamento del dissesto ritardando l’emersione della reale situazione finanziaria. Ciò in quanto sull’Istituto di credito grava l’onere di valutare, secondo i principi di sana e prudente gestione e previa assunzione di informazioni adeguate (diligenza professionale qualificata), il merito del credito.

A fronte di queste considerazioni, parrebbe allora auspicabile l’introduzione di uno “scudo penale” in favore degli istituti di credito e imprese per garantire la non punibilità di eventuali imputazioni a titolo di concorso nei reati di bancarotta, vuoi preferenziale vuoi semplice, ma anche di ricorso abusivo al credito e così permettere una rapida erogazione di finanziamenti nell’interesse delle imprese in difficoltà.

A ciò si aggiunga l’entrata in vigore nel 2021 del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, d.lgs. 14/2019 (in ragione dell’emergenza COVID l’entrata in vigore è stata rinviata al 1 settembre 2021) che, seppur non abbia operato una revisione generale del diritto penale fallimentare (salvo sostituire la parola fallimento con “liquidazione giudiziale”), le consistenti e rilevanti modifiche introdotte nella normativa civile e, segnatamente, quella sulla rilevazione tempestiva della crisi e sull’adozione di misure adeguate a contrastarne in tempi brevi l’evoluzione infausta, nonché sugli innovativi parametri di diligenza dei gestori e controllori ma, soprattutto, il favore per soluzioni di continuità aziendale ed operazioni di sostegno, comporteranno certamente trasformazioni mediate di fattispecie penali tradizionali.

Con il potenziamento della protezione per la continuità aziendale e di quanto la si favorisce, i confini concreti dei reati di bancarotta preferenziale, connessa alle operazioni di rifinanziamento, e di bancarotta semplice, collegata al ritardo nell’accesso alla procedura liquidatoria, con aggravamento del dissesto ovvero alle operazioni imprudenti volte a rimediare situazioni di crisi, ne usciranno evidentemente risistemati lasciando all’interprete l’individuazione degli stessi in funzione dei riflessi scaturenti dai mutamenti della normativa civile.

Posto che gli effetti della grave crisi economica in corso si vedranno certamente nel 2021, in vista dell’entrata in vigore di una normativa tutta concentrata sulla rilevazione precoce della crisi d’impresa e sulla gestione della stessa, sarebbe auspicabile introdurre una clausola di non punibilità di banchieri e di imprenditori in stato di difficoltà per l’incolpevole pandemia in atto dalla commissione di eventuali reati connessi all’erogazione dei finanziamenti introdotti dal D.L. 8 aprile 2020 n. 23.

È evidente, infatti, la necessità di mettere in sicurezza il sistema ipotizzando, ad esempio, l’introduzione di una disposizione simile a quella di cui all’art. 217 bis del R.D. 267/1942 che esclude la sussistenza dei reati di bancarotta per i pagamenti compiuti o le operazioni effettuate in esecuzione di un concordato preventivo o in conseguenza dell’accesso a finanziamenti funzionali alla prosecuzione dell’esercizio d’impresa, previsione rimasta pressoché identica nel nuovo Codice della Crisi d’Impresa, art. 324.

avv. Monica Alberti

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