La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 24797/2024 pubblicata il 16 settembre scorso, in linea con l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, afferma il primato della tutela dei mezzi di difesa rispetto alle esigenze di riservatezza dei terzi.
Il caso preso in esame dalla Suprema Corte riguarda la produzione in giudizio, da parte di alcuni dipendenti, di una registrazione di una riunione svoltasi diversi anni prima tra un collega ed i dirigenti della loro azienda.
Questi ultimi, coinvolti nelle registrazioni senza il loro consenso, presentavano reclamo al Garante per la protezione dei dati personali ai sensi dell’art. 77 del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), chiedendo di cancellare e/o distruggere il file audio prodotto.
Il Garante, investito della vicenda, respingeva la richiesta, ritenendo la registrazione lecita poiché giustificata dalla necessità di contestare addebiti inerenti al rapporto di lavoro.
I dirigenti decidevano, così, di sottoporre la questione al Tribunale ordinario, che accoglieva le loro ragioni dichiarando illegittimo il provvedimento dell’Autorità Garante per la protezione dei dati, in quanto il file audio conteneva la registrazione di una riunione svoltasi qualche anno prima per risolvere “alcune difficoltà organizzative interne all’azienda” e, quindi, effettuata senza che vi fossero nell’immediatezza esigenze difensive, ed anzi evidenziava che la stessa era stata conservata e ceduta ai colleghi al solo scopo di consentirne la produzione a distanza di anni nelle rispettive cause di lavoro contro l’azienda.
La Cassazione, interessata della questione, ha invece ribaltato la sentenza del Giudice di merito, riaffermando la validità della posizione del Garante. La Corte ha infatti stabilito che, in generale, l’utilizzo di dati personali senza il consenso dell’interessato è lecito quando è finalizzato alla difesa di un diritto fondamentale quale è, come nel caso di specie, la difesa giurisdizionale.
A parere della Suprema Corte, quando i dati vengono prodotti in giudizio, spetta al Giudice bilanciare gli interessi in gioco e conseguentemente decidere se ammettere o meno prove che comportino il trattamento di dati di terzi.
La Cassazione ha quindi affermato – richiamando il diritto alla cancellazione (art. 17 GDPR) e quello di opposizione (art. 21 GDPR) – che, nel bilanciamento tra il diritto alla difesa e la protezione dei dati personali, il primo può prevalere, soprattutto quando sono in gioco diritti fondamentali legati alla dignità della persona, come nel caso dei diritti dei lavoratori, protetti dall’articolo 36 della Costituzione.
Con questa decisione, la Cassazione conferma che, in presenza di un diritto fondamentale, come quello alla difesa in giudizio, l’utilizzo di registrazioni non consensuali può essere considerato legittimo, subordinando così la tutela della privacy alle esigenze di giustizia.
avv. Stefania Massarenti