Una questione sempre più dibattuta – non solo tra gli operatori del diritto, ma anche in seno all’opinione pubblica – è quella della tutela dei centri storici delle città a fronte della crescente presenza di attività legate alla presenza turistica e alle ricollegate opportunità commerciali: fenomeno che pone la sfida di garantire l’adeguato insediamento di tali attività nell’ambito di un tessuto urbano caratterizzato da rilevanti valori architettonici e culturali.
Il processo di liberalizzazione delle attività economiche avviato attraverso le disposizioni di legge di recepimento della direttiva Bolkestein 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno rischia infatti di tradursi, ove non debitamente contemperato con la finalità di interesse generale della tutela del decoro e del paesaggio urbano, nel proliferare di esercizi commerciali in assenza di limiti, con inevitabile compromissione dell’identità dei centri cittadini.
La sensibilità manifestata da tempo dalla giurisprudenza amministrativa verso le esigenze di tutela sopra delineate si è tradotta nell’insegnamento, ormai invalso, secondo cui la disciplina eurounitaria della liberalizzazione delle attività economiche “non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica”, dovendo “confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali” (così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 28.11.2024, n. 5884; Sez. IV, 24.05.2019, n. 3419 e 04.05.2017, n. 2026).
Una particolare declinazione di tale orientamento è stata recentemente espressa dalla decisione del Consiglio di Stato n. 5404 del 20 giugno 2025, che ha riconosciuto la legittimità di una deliberazione della Giunta comunale di Firenze recante approvazione di una “Lista delle Attività Economiche Storiche e Tradizionali fiorentine”, con divieto di apportare modifiche alle attività inserite nella categoria delle “Eccellenze Storiche”, pena l’irrogazione di sanzioni.
Nel caso ivi trattato, il Collegio ha ravvisato l’assenza di ostacoli posti dalla disciplina eurounitaria, ove interpretata secondo canoni di ragionevolezza e proporzionalità, ritenendo legittimo che il Comune, nell’esercizio del proprio potere pianificatorio, avesse posto limitazioni all’insediamento di nuovi esercizi commerciali finalizzate a una corretta allocazione delle strutture di vendita nell’ambiente urbano.
Traducendosi in sostanziali vincoli di natura conformativa, le predette limitazioni potranno quindi tradursi tanto nel divieto tout court di installare specifiche tipologie di attività, quanto in prescrizioni “volte comunque ad assicurare (in positivo) la salvaguardia di determinate attività o esercizi già esistenti, ritenuti meritevoli di tutela in ragione di precisi (e predeterminati) criteri selettivi”, impedendo – o, quantomeno, limitando rigorosamente – il mutamento di destinazione di attività già in essere.
La decisione in esame giustifica l’operato dell’Amministrazione in quanto coerente con l’art. 52, comma 1-bis, del D. Lgs. n. 42/2004, che attribuisce ai Comuni il potere di individuare i locali nei quali si svolgono attività commerciali tradizionali, “riconosciute quali espressione dell’identità culturale collettiva ai sensi delle convenzioni UNESCO” del 2003 (per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale) e del 2005 (per la protezione e la promozione delle diversità culturali), al fine di assicurarne apposite forme di promozione e salvaguardia, senza che ciò comporti violazione dell’art. 41 della Costituzione in tema di libera iniziativa economica.
avv. Gregorio Paroni