SLM | NEWS Le “sabbie mobili” del termine per impugnare l’aggiudicazione: uno sguardo tra vecchio e nuovo codice dei contratti pubblici.

SLM | NEWS Le “sabbie mobili” del termine per impugnare l’aggiudicazione: uno sguardo tra vecchio e nuovo codice dei contratti pubblici.

SLM | NEWS Le “sabbie mobili” del termine per impugnare l’aggiudicazione: uno sguardo tra vecchio e nuovo codice dei contratti pubblici. 1225 700 Matteo Parini

Il concorrente che non si è aggiudicato la gara ha interesse ad esaminare l’offerta del vincitore (e degli altri concorrenti che lo hanno preceduto in graduatoria) – ossia, documentazione amministrativa, offerta tecnica ed economica, giustificazioni di anomalia  – per verificare se le valutazioni dell’Ente appaltante siano legittime e, quindi, per decidere se proporre, al riguardo, un ricorso al Tar.

È noto che per acquisire tale documentazione il concorrente deve presentare un’istanza di accesso all’Ente, in quanto – in base all’ormai vecchio codice (D. Lgs. n. 50/2016), ma ancora efficace per le gare in corso e per quelle che saranno indette fino al 30 giugno – i documenti in questione non rientrano tra gli atti oggetto di obbligatoria pubblicazione da parte dell’Ente.

Si è posta, quindi, la questione di come conciliare il tempo necessario per accedere a tale documentazione, rispetto al termine di legge di 30 giorni per impugnare l’aggiudicazione.

Alcuni punti fermi sono stati tracciati dalla giurisprudenza:

  • la pubblicazione sul sito web dell’Ente fa decorrere il termine di 30 giorni: pertanto, per i vizi che già emergono dagli atti pubblicati, il termine decorre immediatamente;
  • per tutti gli altri vizi non si può costringere il concorrente a proporre un ricorso “al buio”, ossia senza conoscere i documenti necessari, anzi, in tal caso il ricorso sarebbe inammissibile;
  • il concorrente deve, però, chiedere tempestivamente all’Ente l’accesso a tali documenti, mentre un ritardo dell’Ente nel trasmetterglieli non può ritorcersi contro il concorrente diligente.

Il tema ancora “caldo” riguarda il concetto di tempestività dell’accesso e del conseguente calcolo dei giorni aggiuntivi (rispetto ai 30 canonici) per ricorrere al Tar, di cui può beneficiare il concorrente diligente.

La querelle è nata da una lacuna legislativa: l’art. 76 del D. Lgs. n. 50/2016 ha previsto che l’Ente deve consentire l’accesso entro 15 giorni dalla richiesta, ma non ha stabilito il (precedente) termine entro cui il concorrente deve presentare l’istanza di accesso.

Questa lacuna è stata colmata dalla giurisprudenza (Corte Cost., n. 204/2021; Cons. Stato, Ad. Plen., n. 12/2020), che ha ritenuto applicabile, per osmosi, il termine di 15 giorni anche al concorrente, a decorrere dall’avvenuta conoscenza dell’aggiudicazione.

La giurisprudenza si è, però, divisa sullo step successivo, ossia su come calcolare il termine massimo entro cui il concorrente diligente può ricorrere al Tar.

Come ricordato dal Consiglio di Stato, Sez. V, 15.03.2023, n. 2736, si sono formati tre orientamenti:

  1. termine secco di 45 giorni (30 + 15);
  2. termine di 30 giorni dall’ottenimento dell’accesso, con conseguente possibile slittamento fino a 60 giorni (30 + 15 + 15);
  3. termine mobile, ossia: 45 giorni, da cui sottrarre i giorni che il concorrente ha impiegato per chiedere l’accesso, una volta conosciuta l’aggiudicazione (tesi della “sottrazione dei giorni”).

Nella pronuncia citata, Il Consiglio di Stato ha, in modo condivisibile, criticato il terzo orientamento, perché lascerebbe il concorrente arbitro del termine per impugnare; inoltre, lo costringerebbe a presentare immediatamente l’istanza di accesso per non “perdere” giorni: il che sembra, in effetti, eccessivamente penalizzante.

In modo meno condivisibile, il Consiglio di Stato ha preso le distanze anche dal secondo orientamento, finendo così per “sposare” la prima tesi, quella del termine secco di 45 giorni.

Secondo la sentenza, il secondo orientamento riconoscerebbe al concorrente il termine di 30 giorni “in ogni caso (quindi, indipendentemente dalla sollecitudine nella presentazione della istanza ostensiva)”, mentre solo la prima tesi avrebbe il pregio di premiare “la solerzia del concorrente che … si attivi sollecitamente alla presentazione della istanza di accesso”.

Questo ragionamento appare, però, contraddittorio rispetto alle premesse di partenza.

Se, infatti, va considerata tempestiva l’istanza di accesso proposta in 15 giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione, ed altrettanto tempestiva la trasmissione, da parte dell’Ente, dei documenti richiesti nei successivi 15 giorni, significa che – legittimamente – il concorrente potrebbe ricevere i documenti anche il 30° giorno (15 + 15): a quel punto, seguendo la prima tesi, avrebbe solo 15 giorni (anziché 30) per proporre ricorso (15 + 15 + 15 = 45). Il che appare una significativa compressione del fondamentale diritto di difesa.

Inoltre, in questo modo, l’effetto pratico sarebbe – pur sempre – quello di costringere il concorrente a proporre immediatamente l’istanza di accesso, senza perdere giorni: ossia lo stesso aspetto criticato in relazione al terzo orientamento.

Il secondo orientamento appare, invece, quello più coerente. È vero che, seguendo questa impostazione, il termine per ricorrere potrebbe allungarsi fino a 60 giorni: ma ciò accadrebbe solo se sia il concorrente, sia l’Ente, attendessero il rispettivo 15° giorno (l’ultimo utile). Se invece si attivassero prima, il termine per ricorrere potrebbe risultare addirittura più celere rispetto a quello fisso di 45 giorni imposto dalla prima tesi.

In sostanza, non sembra che il secondo orientamento comporti un ingiustificato allungamento del termine per ricorrere, dipendendo tale evenienza dalla diligenza dell’Ente (e non solo del concorrente).

La querelle dovrebbe (auspicabilmente) risolversi con il nuovo codice dei contratti pubblici D. Lgs. n. 36/2023 – pubblicato il 31 marzo. Infatti, in base al relativo art. 36 – efficace, tuttavia, solo dal 1° gennaio 2024 – l’Ente, contestualmente alla comunicazione dell’aggiudicazione, dovrà mettere a disposizione sulla “piattaforma di approvvigionamento digitalel’offerta dell’impresa aggiudicataria; la stessa cosa dovrà autonomamente fare (anche se non è indicato un termine) in relazione alle offerte di tutti i primi cinque classificati, a (reciproco) beneficio dei suddetti concorrenti.

Al contempo, il nuovo codice ha previsto un differimento di 10 giorni per l’accesso all’offerta dell’impresa, ove quest’ultima lo abbia negato in gara: ciò al fine di consentire la proposizione dei ricorsi in materia di accesso, nel nuovo termine ad hoc di 10 giorni introdotto.

Tali radicali innovazioni, se – da un lato – dovrebbero contribuire a risolvere i contrasti interpretativi sorti nella vigenza del D. Lgs. n. 50 del 2016, dall’altro lato accenderanno verosimilmente nuovi “focolai” di dibattito nel sempre infuocato panorama degli appalti pubblici.

avv. Matteo Parini

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