Compliance 231 per case d’asta, musei, fondazioni, associazioni ed enti collettivi comunque coinvolti nel settore dei beni culturali.

Compliance 231 per case d’asta, musei, fondazioni, associazioni ed enti collettivi comunque coinvolti nel settore dei beni culturali.

Compliance 231 per case d’asta, musei, fondazioni, associazioni ed enti collettivi comunque coinvolti nel settore dei beni culturali. Monica Alberti

In attuazione degli artt. 13 e 14, par. 2 della Convenzione di Nicosia, l’art. 3 della L. 22/2022 ha, come noto, ampliato il novero di reati di cui al d.lgs. 231/2001 prevedendo in relazione alle nuove ipotesi delittuose a tutela del patrimonio culturale anche una responsabilità amministrativa degli enti, coinvolgendo così varie categorie di soggetti collettivi che si muovono nel complesso scenario della gestione, circolazione e commercio di beni culturali. Tra questi soggetti rientrano quindi anche quelli con responsabilità nella salvaguardia del patrimonio quali: gli enti museali, le case d’asta, le fondazioni, le associazioni, le società partecipate e tutte le istituzioni private in genere, anche se prive di finalità lucrative, costituite in forma societaria o associativa, coinvolte a vario titolo nel settore dei beni culturali.

In particolare, l’art. 3 della Legge in esame, rubricato “Modifica al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità delle persone giuridiche” ha introdotto nel D.Lgs. 231/2001 gli articoli 25 septiesdecies (“Delitti contro il patrimonio culturale”) e25 duodevicies (“Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici”).

L’art. 25 septiesdeciesprevede la responsabilità degli enti per la commissione dei seguenti reati:furto di beni culturali (art. 518 bis c.p.); appropriazione indebita di beni culturali (art. 518 ter c.p.); ricettazione di beni culturali (art. 518 quater c.p.);falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518 octies c.p.);violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art. 518 novies c.p.);importazione illecita di beni culturali (art. 518 decies c.p.);uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518 undecies c.p.);distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518 duodecies c.p.);contraffazione di opere d’arte (art. 518 quaterdecies c.p.).Mentre l’art. 25 duodeviciescontempla invece reati più gravi quali il riciclaggio di beni culturali (art. 518 sexies c.p.) e la devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518 terdecies c.p.) ma non è dato comprendere per quale ragione non siano stati inclusi anche i reati di impiego di beni culturali provenienti da delitto di cui all’art. 518 quinquies c.p. e l’autoriciclaggio di beni culturali di cui all’art. 518 septies c.p.

L’Ufficio del Massimario della Suprema Corte con la Relazione n. 34 del 21.06.22 sulla Legge n. 22 del 9 marzo 2022recante “disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”, in punto di responsabilità ex d.lgs. 231/2001, ha altresì evidenziato come il sistema sanzionatorio approntato nei confronti delle persone giuridiche è in grado di svolgere un’efficace azione preventiva e reintegrativa e rappresenta un “traguardo significativo” nel rilievo che, non di rado, le attività di import-export illecito di beni culturali si svolgono nell’ambito di compagini societarie lecite (si pensi alle case d’asta) ovvero destinate principalmente al traffico illecito, magari mascherate con attività di copertura di vario genere.

Emerge quindi come tra le linee direttrici seguite dalla Riforma dei reati contro i beni culturali il contrasto al traffico illecito di opere d’arte assuma un ruolo di primaria importanza.

Si tratta di un fenomeno criminale che ha una dimensione strutturalmente transnazionale ed è caratterizzato da logiche di profitto proprie della criminalità economica ma anche, e soprattutto, dalla realizzazione di reati attraverso gruppi criminali più o meno organizzati in strutture societarie di vario genere, il tutto agevolato da una struttura di mercato grigia, ove la tracciabilità dell’origine di un bene è scarsa o del tutto assente.

Come evidenzia la Relazione del Massimario, in tale nuovo contesto i modelli di organizzazione, gestione e controllo andranno all’uopo implementati da parte delle istituzioni museali, case d’asta e di tutti gli enti interessati favorendo l’adozione di modelli idonei ad agevolare le attività di reporting e a favorire gli obblighi di collaborazione che i vari enti coinvolti potrebbero attuare, ispirandosi alle Linee guida delle Nazioni Unite per la prevenzione e repressione del traffico di beni culturali del 2014 ed alle misure pre-penali di cui alla Convenzione di Nicosia del 19 maggio 2017.

Gli enti collettivi comunque coinvolti nella gestione, commercio e tutela dei beni culturali dovranno, pertanto, predisporre sistemi di compliance che prevedano ad esempio il tracciamento dell’origine degli oggetti d’arte e della catena proprietaria; la registrazione (e regolare aggiornamento) presso archivi elettronici istituiti (o implementati) appositamente, di tutti i dati relativi ai beni culturali di cui sono in possesso; l’introduzione, ove non già presenti, di sistemi (informatici, per migliorare la tracciabilità) di licenze per l’esportazione e l’importazione di beni culturali; l’adozione di registri (sempre informatici) delle transazioni commerciali riguardanti opere d’arte e di antiquariato; il monitoraggio delle compravendite di questi beni su internet, possibilmente con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei gestori delle piattaforme potenzialmente utilizzate a questo fine, oltre a un sistema di segnalazione presso le autorità competenti di eventuali attività sospette.

Questi sono solo alcuni degli adempimenti che dovranno essere inseriti in protocolli e procedure aziendali onde implementare (o integrare, qualora già presente) un sistema di compliance 231 in tutti i soggetti che operano nel settore non solo per prevenire i rischi connessi ai nuovi reati ma, soprattutto, per rafforzare la tutela stessa del patrimonio culturale.

avv. Monica Alberti

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