SLM | NEWS Gli apporti eseguiti in vita dal de cuius a favore del convivente non sempre sono qualificabili come donazioni: una recente pronuncia della Cassazione.

SLM | NEWS Gli apporti eseguiti in vita dal de cuius a favore del convivente non sempre sono qualificabili come donazioni: una recente pronuncia della Cassazione.

SLM | NEWS Gli apporti eseguiti in vita dal de cuius a favore del convivente non sempre sono qualificabili come donazioni: una recente pronuncia della Cassazione. 1400 800 Francesca Marra

La Corte di Cassazione con l’Ordinanza n.18814/2023, pubblicata lo scorso 4 luglio, ha sancito un principio innovativo e interessante in materia di collazione, con riferimento agli apporti eseguiti in vita dal de cuius in favore di soggetto con lui convivente (nella specie, dalla madre, morta a 98 anni, alla figlia con lei unica convivente nel corso di ventiquattro anni).

Giova ricordare che in caso di asserita lesione della quota di legittima, e ai fini dell’obbligo di collazione tra i soggetti indicati dall’art. 737 c.c., così come in caso di esercizio dell’azione di riduzione verso il coerede donatario, rilevano le donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius.

Tuttavia, a norma dell’art. 742 c.c., non sono soggette a collazione, tra le altre, le spese di mantenimento e di educazione, quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze, nĂ© le liberalitĂ  d’uso.

Il presupposto dell’obbligo di collazione è, dunque, che il coerede ad esso tenuto abbia ricevuto beni o diritti a titolo di liberalitĂ  dal de cuius, direttamente o indirettamente tramite esborsi effettuati da quest’ultimo.

A fronte di tale quadro normativo, gli Ermellini hanno precisato che: “non sono soggette, peraltro, a collazione nĂ© alla riduzione a tutela della quota riservata ai legittimari le attribuzioni o elargizioni patrimoniali senza corrispettivo operate in favore di persona convivente ove non sia accertato che le stesse fossero state poste in essere per spirito di liberalitĂ , e cioè con la consapevole determinazione dell’arricchimento del beneficiario, e non invece per adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza”, ritenendo “normale” ipotizzare che nel corso della convivenza gli apporti vicendevoli di denaro non siano riconducibili a spirito donativo ma ad “adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale”.

La Corte ha pertanto enunciato il seguente principio di diritto:

Al fine di ravvisare presuntivamente la sussistenza di plurime donazioni di somme di denaro fatte dalla madre alla figlia convivente, soggette all’obbligo di collazione ereditaria ed alla riduzione a tutela della quota di riserva degli altri legittimari, tratte dalla differenza tra i redditi percepiti dalla de cuius durante il periodo di convivenza e le spese ritenute adeguate alle condizioni di vita della stessa,  occorre considerare altresì in che misura tali elargizioni potessero essere giustificate dall’adempimento di obbligazioni nascenti dalla coabitazione e dal legame parentale, e dunque accertare che ogni dazione fosse stata posta in essere esclusivamente per spirito di liberalità”.

avv. Francesca Marra

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