Il fondo patrimoniale e i limiti alla pignorabilità dei beni in esso conferiti

Il fondo patrimoniale e i limiti alla pignorabilità dei beni in esso conferiti

Il fondo patrimoniale e i limiti alla pignorabilità dei beni in esso conferiti Federica Boga

Il fondo patrimoniale viene comunemente definito come un “patrimonio di destinazione”, ovvero un insieme di beni (immobili, mobili iscritti in pubblici registri e titolo di credito), che costituisce una parte di patrimonio separata rispetto alla massa, volto a garantire le obbligazioni contratte dai coniugi per il soddisfacimento dei bisogni familiari.

La costituzione dei beni in fondo patrimoniale determina un vincolo di destinazione sugli stessi sotto un duplice profilo: a) i frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale devono essere impiegati per i bisogni della famiglia (art. 168 c.c.); b) l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). La prova della sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c. grava su chi intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni conferiti in fondo patrimoniale.

I maggiori contrasti sorgono proprio in relazione al concetto di “bisogni della famiglia”, in quanto occorre contemperare il vincolo di impignorabilità dei beni conferiti nel fondo patrimoniale – posto a presidio delle ragioni della famiglia – con la tutela delle ragioni dei creditori, interessati ad impedire un uso distorto dell’istituto del fondo.

Con l’ordinanza n. 2904 dell’8 febbraio 2021 la Corte di Cassazione ha fatto chiarezza sulla questione. Pur propendendo per la tesi che attribuisce al concetto di “bisogni della famiglia” un significato in senso ampio, tale da ricomprendere non solo “l’indispensabile per l’esistenza  della famiglia” ma tutto quello che risulti essere “necessario e funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare” nonché “al miglioramento del suo benessere (anche) economico”, la Suprema Corte ha ritenuto che “di norma, le obbligazioni concernenti l’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale risultano avere un’inerenza diretta ed immediata con le esigenze dell’attività imprenditoriale o professionale, solo indirettamente o mediatamente potendo assolvere (anche) al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, se e nella misura in cui con i proventi della propria attività professionale o imprenditoriale il coniuge, in adempimento dei proprio doveri ex art. 143 c.c., vi faccia fronte”. 

È fatta sempre e comunque salva la prova contraria, potendosi dimostrare che, pur se posto in essere nell’ambito dello svolgimento dell’attività di impresa o professionale, nel caso concreto l’atto di assunzione del debito è volto immediatamente e direttamente a soddisfare i bisogni della famiglia.

Proprio su questo punto, nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha censurato i Tribunali di merito, i quali hanno ritenuto sussistente una inerenza immediata e diretta tra l’assunzione del debito – contratto nell’ambito dell’attività di impresa – ed i bisogni della famiglia senza però indicare su quali basi probatorie hanno fondato tale decisione, andando conseguentemente ed indebitamente ad invertire l’onore probatorio posto a carico del debitore.

avv. Federica Boga

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