Prospettive di liberalizzazione del subappalto nei contratti pubblici: il punto di vista dell’Autorità anticorruzione

Prospettive di liberalizzazione del subappalto nei contratti pubblici: il punto di vista dell’Autorità anticorruzione

Prospettive di liberalizzazione del subappalto nei contratti pubblici: il punto di vista dell’Autorità anticorruzione Nicolo Boscarini

Appunti a margine dell’Atto di segnalazione Anac n. 8 del 13 novembre 2019.

È ormai noto ai più che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con sentenza 26 settembre 2019 (causa C-63/18, Vitali), ha sancito la incompatibilità tra, da un lato, i superiori principi unionali di libera concorrenza e apertura del mercato e, dall’altro, la rigida limitazione quantitativa della quota subappaltabile nei contratti pubblici a livello nazionale.

Ebbene, nelle more di un più che auspicabile intervento legislativo sul punto (essendo per converso sconsigliabile che la soluzione della questione venga affidata ad ondivaghi orientamenti giurisprudenziali), l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) si è avvalsa del potere di segnalazione attribuitole dall’art. 213, comma 3, lett. d), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, per formulare talune proposte de jure condendo indirizzate al Parlamento e al Governo. Nell’articolare le proprie proposte, l’Anac muove dall’assunto che l’emananda disposizione correttiva  debba comunque garantire una opportuna compensazione” tra “i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo” e le “esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica”. Il che tradisce il permanere – nonostante le procedure di infrazione e, da ultimo, la sentenza in parola – di un’impostazione di pensiero secondo cui la disciplina nazionale del subappalto dovrebbe in fondo conservare la propria tradizionale sfiducia nei confronti dell’istituto.

Tanto premesso, l’Autorità si premura innanzitutto di chiarire come i Giudici di Lussemburgo non abbiano affatto dato il via libera al subappalto illimitato, bensì si siano limitati a censurare la sproporzione, rispetto al fine perseguito, di un limite quantitativo rigidamente prefissato dal legislatore a prescindere dalle peculiarità delle fattispecie concrete. A tal fine, richiama il disposto dell’art. 71 della direttiva 24/2014, nella parte in cui prevede la possibilità di imporre all’offerente di indicare in sede di offerta le “eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi, dove il riferimento alle “parti” implicherebbe la preferenza per un subappalto comunque limitato ad una porzione della prestazione, giammai sostitutivo del ruolo dell’appaltatore. Di qui l’invito rivolto al legislatore domestico a mantenere il divieto di subappalto dell’intera commessa “o di una sua parte rilevante e, più in generale, ad adottare un approccio di estrema cautela nel procedere ad un intervento liberalizzatore nella materia de qua.

Nello specifico, la soluzione prospettata dall’Authority per superare i rilievi della Corte europea parrebbe essere quella di ammettere in via generale la subappaltabilità (di una parte, comunque mai totalitaria e addirittura “non rilevante”) del contratto, facendo salva al contempo la facoltà di ciascuna stazione appaltante di introdurre in sede di bando eventuali soglie massime, da motivarsi adeguatamente in relazione allo specifico contesto di gara, sulla falsariga di quanto già previsto per il caso di mancata suddivisione in lotti. In tale prospettiva, i criteri adottabili dalle stazioni appaltanti per motivare l’imposizione di limiti al subappalto potrebbero essere, a titolo esemplificativo, il settore economico o merceologico, la natura principale o accessoria della prestazione, il valore e la complessità del contratto, nonché esigenze di carattere organizzativo o di prevenzione di infiltrazioni malavitose.

Inoltre, “al fine di bilanciare la maggiore libertà di subappalto con le esigenze di trasparenza e di garanzia di affidabilità”, l’Anac invita il legislatore a mantenere un sistema di verifica preventiva (ossia, durante la fase di gara) del possesso dei requisiti da parte dei subappaltatori, da attuarsi attraverso la conferma dell’obbligo di indicazione dei nominativi dei subappaltatori già all’atto della presentazione dell’offerta (obbligo attualmente “sospeso” fino al 31 dicembre 2020, ai sensi della L. 55/2019). E ciò quantomeno in relazione ad offerte che evidenzino un ricorso al subappalto superiore a determinate soglie, la cui individuazione – ancora una volta – sarebbe rimessa ad una valutazione caso per caso delle stazioni appaltanti.

In sostanza, par di capire che la via maestra prospettata dall’Anac per rimuovere la situazione di incompatibilità con il diritto unionale sia quella di spostare il baricentro decisionale in ordine all’an e al quomodo del subappalto dal legislatore alle stazioni appaltanti, con facoltà di queste ultime di reintrodurre limiti quantitativi prefissati. Una siffatta soluzione, che pure attribuirebbe al sistema quella maggiore flessibilità auspicata dai Giudici europei, non va tuttavia esente da potenziali criticità applicative, nella misura in cui espone gli operatori economici (e le rispettive strutture organizzative) alle incertezze connesse ad un sistema basato su una valutazione caso per caso rimessa al committente pubblico. Meglio sarebbe, a sommesso avviso di chi scrive, che il legislatore e le stazioni appaltanti si limitassero – al più – a vietare espressamente il subappalto totale (in fondo già previsto, dato che una simile ipotesi potrebbe essere equiparata ad una surrettizia cessione del contratto) e a prevedere – laddove possibile – verifiche preventive sui subappaltatori, rimettendo tuttavia agli operatori economici di strutturare come meglio ritengono la propria offerta, pure con riferimento alla percentuale di lavori o servizi che intendono subappaltare a terzi.

Avv. Nicolò F. Boscarini

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