Con il Comunicato presidenziale del 23 marzo 2021 l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha fornito importanti delucidazioni in merito a un dubbio interpretativo che è emerso nell’ambito dell’applicazione dell’art. 106, comma 12, del Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), in forza del quale “La stazione appaltante, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto” (cd. “quinto d’obbligo”).
In particolare, la questione esaminata dall’Autorità attiene alla possibilità di considerare la fattispecie prevista al citato comma 12 come ipotesi autonoma e ulteriore di modifica contrattuale rispetto alle casistiche enucleate ai commi 1 e 2 del medesimo art. 106 e, in caso positivo, alla possibilità di accedere a tale istituto anche a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti individuati da detti commi.
L’art. 106 del Codice, ai commi 1 e 2, individua infatti diverse ipotesi di modifiche contrattuali consentite senza necessità di ricorrere a una nuova gara (circostanze impreviste e imprevedibili, sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o di provvedimenti di autorità preposte alla tutela di interessi rilevanti, modifiche di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea e al 10% del valore iniziale del contratto per servizi e forniture ovvero al 15% per i lavori, ecc.); al comma 6, tuttavia, stabilisce che “Una nuova procedura d’appalto in conformità al presente codice è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 2”, con ciò riconoscendo la natura tassativa delle predette ipotesi di modifica contrattuale.
A fronte di tale dato normativo, si è posto il tema di capire se la fattispecie del cd. quinto d’obbligo vada ricostruita (a) alla stregua di un’ulteriore ed autonoma ipotesi di modifica contrattuale senza necessità di nuova gara, ossia in termini di deroga al citato comma 6, oppure (b) come mera indicazione in ordine alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti.
Ebbene, stando al Comunicato del 23 marzo scorso, l’ANAC propende per la seconda opzione interpretativa, essendo giunta alla conclusione che la norma debba essere intesa nel senso che, al ricorrere di una delle ipotesi di cui ai commi 1 e 2, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto; nel caso in cui, invece, si ecceda il quinto d’obbligo e, sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui ai commi 1 e 2, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso negativo, esercitare il diritto alla risoluzione del contratto.
Tale lettura rinviene il proprio fondamento, secondo l’Authority: i) nell’art. 72 della Direttiva (UE) 24/2014, che non contempla l’istituto del quinto d’obbligo tra le ipotesi di modifica contrattuale che non richiedono una nuova procedura evidenziale; ii) nella relazione illustrativa del Codice, da cui emerge la volontà del Legislatore domestico di disciplinare la fattispecie in continuità rispetto al regime previgente (art. 132, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006; art. 311, comma 4, D.P.R. n. 207/2010), che per l’appunto negava valenza autonoma alla modifica del contratto nei limiti del quinto; nonché, infine, iii) nell’illogicità dell’opposta lettura, che nel consentire in generale qualsiasi modifica del contratto, purché nel limite del quinto dell’importo contrattuale, vanificherebbe la portata del comma 2 dell’art. 106, a tenore del quale la modifica del contratto in assenza delle condizioni di cui al comma 1 è vincolata al rispetto di limiti quantitativi inferiori al quinto (il 10 % per i servizi e le forniture e il 15% per i lavori).
Preme peraltro evidenziare – come riconosciuto dalla stessa ANAC – che certa giurisprudenza pare riconoscere valenza autonoma al quinto d’obbligo di cui al comma 12 rispetto alle fattispecie di cui ai commi precedenti dell’art. 106.
È il caso, ad esempio, della sentenza n. 13539/2020 del TAR Lazio, secondo cui “la differenza è data dal fatto che mentre nel caso della lett. c) [del comma 1, N.d.R.] è necessario comunque un accordo delle parti per modificare l’oggetto del contratto (fermo restando che la modifica non deve alterare “la natura generale del contratto”), l’applicazione del comma 12, con l’aumento o la diminuzione delle prestazioni «fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto», è solo la conseguenza dell’esercizio di un diritto potestativo dell’Amministrazione, che può infatti «imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario»; per cui «in tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto»”, con la conseguenza che il comma 12 sarebbe applicabile in caso di “semplice aumento delle prestazioni di gara nel loro volume”, mentre per le modifiche qualitative dovrebbe farsi ricorso al comma 1.
In ogni caso, sull’assunto che “La natura derogatoria della normativa in discussione comporta che la stessa possa trovare applicazione solo nei casi espressamente previsti, che sono pertanto di stretta interpretazione”, anche i giudici amministrativi sposano un’interpretazione restrittiva del comma 12, concludendo che “In tale prospettiva ermeneutica, deve reputarsi che l’ipotesi contemplata dal comma 12 – nell’inciso già citato: “qualora in corso di esecuzione si renda necessario una aumento o una diminuzione delle prestazioni” – riguardi le sole circostanze imprevedibili e sopravvenute nel corso dell’esecuzione del rapporto e giammai possa essere utilizzata per rimediare ad errori originari compiuti dalla stazione appaltante in sede di valutazione del fabbisogno ovvero per eludere gli obblighi discendenti dal rispetto delle procedure ad evidenza pubblica attraverso un artificioso frazionamento del contenuto delle prestazioni” (TAR Campania-Napoli, Sez. V, 27.11.2020, n. 5595).
Pertanto, al netto delle differenze logico-interpretative appena evidenziate, è dato ritenere che il Comunicato ANAC non si discosti significativamente dagli approdi della giurisprudenza più recente, quantomeno in relazione all’avvertita esigenza di circoscrivere nella maggior misura possibile il perimetro applicativo delle modifiche contrattuali in corso d’opera, poiché potenzialmente elusive della regola dell’affidamento mediante gara.
avv. Nicolò Filippo Boscarini