SLM | NEWS Certificazione unica di conformità delle filiere della moda e responsabilità “231”.

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SLM | NEWS Certificazione unica di conformità delle filiere della moda e responsabilità “231”. 2160 2160 Monica Alberti

La Commissione IX del Senato, nella seduta del 23 ottobre 2025, ha approvato il DDL annuale sulle piccole e medie imprese (n. 1424/2025, cd. DDL PMI). Si tratta della prima legge quadro in materia di PMI, in cui sono contenute misure per la tutela e lo sviluppo delle micro, piccole e medie imprese.

Il provvedimento, elaborato in collaborazione con il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), prevede importanti novità e interventi di sostegno riguardanti anche il settore della moda.

In particolare, il DDL, forse sull’onda delle recenti ordinanze della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Milano, che hanno interessato importanti industrie della moda, introduce un sistema di certificazione di filiera volto a garantire tracciabilità, correttezza e legalità in materia di lavoro e legislazione sociale lungo tutta la catena produttiva del comparto tessile-abbigliamento, pelletteria e calzature.

Il DDL introduce anzitutto, all’art. 27, la definizione di “filiera”, intesa come l’insieme di imprese fra loro collegate laddove una società capofila, che coordina la produzione o la progettazione, è legata a imprese di filiera (fornitori e subfornitori) per il tramite di contratti di appalto o subappalto per la produzione di beni o servizi nel settore moda.

A seguire, l’articolo 28 prevede il rilascio della certificazione unica di conformità dell’intera filiera solo qualora siano soddisfatti i seguenti requisiti oggettivi e soggettivi:

  1. l’adempimento da parte della società capofila di specifici obblighi di governance e due diligence,  tra cui: la creazione di un’anagrafe dei fornitori aggiornata semestralmente; l’adozione di linee guida sulla qualificazione e il monitoraggio dei partner di filiera; l’inserimento, nei contratti, di clausole vincolanti sul rispetto delle norme lavoristiche e fiscali e sull’applicazione dei CCNL di settore; la raccolta e l’aggiornamento periodico della documentazione di conformità – DURC, regolarità fiscale, idoneità tecnico-professionale;
  2. l’assenza negli ultimi cinque anni, di condanne penali (anche non definitive) per reati in materia di lavoro, contro la P.A., contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, in materia fiscale o per i delitti di riduzione in schiavitù, tratta, acquisto e alienazione di schiavi e intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (artt. 600-603-bis c.p.);
  3. l’assenza, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni in materia di lavoro di importo complessivo superiore al 4 % del fatturato;
  4. la regolarità contributiva e assicurativa.

Al contempo, le imprese di filiera devono garantire ai subfornitori contratti scritti, clausole risolutive e misure correttive, assicurando così la tracciabilità delle relazioni produttive.

La certificazione unica di conformità ha validità annuale e viene rilasciata da revisori legali o società di revisione iscritti ai sensi del D.Lgs. n. 39/2010, i quali possono effettuare verifiche documentali e ispezioni presso i luoghi di produzione. Presso il MIMIT è poi istituito un registro pubblico delle certificazioni, che garantisce trasparenza e accesso ai dati.

Il provvedimento prevede, altresì, per le imprese di filiera e le società capofila che abbiano ottenuto la certificazione, la possibilità di utilizzare, a fini promozionali, la dizione «filiera della moda certificata», sanzionando l’uso “abusivo”, o tale da “ingenerare confusione”, della dizione, mediante rinvio agli artt. 18-27 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206/2005), relativi alle pratiche commerciali scorrette.

Il DDL dispone, inoltre, che le società capofila, per ottenere la certificazione, debbano adottare un modello organizzativo ex D.Lgs. n. 231/2001 idoneo a prevenire, tra gli altri, i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis c.p.), riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.), prevedendo espressamente che tale adempimento garantirà la possibilità di fruire degli effetti escludenti la responsabilità, di cui agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231/2001.

È evidente come il richiamo, contenuto nell’art. 30, agli “effetti escludenti” di cui agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231/2001 divenga rilevante in quanto, di fatto, attribuisce alla certificazione unica di filiera una funzione integrativa del modello organizzativo “231”, con il rischio, però, di introdurre un’inammissibile presunzione di conformità, ovvero una sorta di automatismo tra possesso della certificazione ed esclusione della responsabilità 231.

È bene, invece, evidenziare che il rilascio della certificazione non potrà e non dovrà mai sostituirsi al giudizio di idoneità e di concreta attuazione del modello organizzativo che l’art. 6 del D.Lgs. n. 231/2001 affida unicamente al vaglio del giudice penale.

Per salvaguardare la coerenza con i principi fondanti il sistema di compliance “231”, si auspica, pertanto, un intervento normativo volto a precisare che la certificazione unica esplica effetti escludenti la responsabilità solo se il modello organizzativo, nel rispetto del principio di effettività, sia concretamente implementato e monitorato, integrato da flussi informativi verso l’Organismo di Vigilanza, audit non programmati, e un sistema disciplinare realmente operativo, così come disposto dagli artt. 6 e 7 del D.Lgs. n. 231/2001.

Altresì, l’affidare il rilascio della certificazione a revisori legali ai sensi del D.Lgs. n. 39/2010, esperti di controllo di natura contabile ma senza competenze in materia di diritto del lavoro, penale di impresa e di D.Lgs. n. 231/2001, rischi di limitare il controllo unicamente ad aspetti meramente documentali e formali. Sarebbe, invece, opportuno creare organismi di certificazione accreditati composti da esperti di diverse materie – diritto del lavoro, fiscale, diritto penale e D. Lgs. n. 231/2001 – e sottoposti a un sistema di vigilanza pubblica e di rotazione periodica degli incarichi, che ne assicuri indipendenza e autonomia di giudizio.

Infine, alla luce delle recenti pronunce della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale milanese, affinché la certificazione unica di conformità si traduca in uno strumento effettivo ed efficace di prevenzione e di promozione della legalità dell’intera filiera, idoneo a radicare un modello stabile di governance etica e sostenibile, responsabilizzando tutti i soggetti del ciclo produttivo, sarebbe auspicabile un intervento normativo che consolidi i principi già affermati nella prassi applicativa della giurisprudenza milanese, introducendo sistemi di vigilanza sostanziale e di cooperazione tra imprese, autorità di controllo e organi giudiziari.

In conclusione, il nuovo sistema di certificazione unica di conformità rappresenta un passo decisamente importante verso un sistema “moda” trasparente, etico e sostenibile, ma, affinché tale obiettivo si realizzi pienamente, è necessario un intervento correttivo nei termini sopra delineati, in modo da evitare che la certificazione divenga l’ennesimo, inutile, adempimento burocratico.

avv. Monica Alberti

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