L’operatore economico che intende ricorrere contro una clausola della disciplina di gara deve impugnare anche la clausola, ad essa corrispondente, contenuta nel “bando-tipo” di ANAC, a pena di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse.
È quanto affermato dal Consiglio di Stato, Sezione Quinta, nella “dirompente” sentenza n. 526 del 16 gennaio 2023, che ha ribaltato l’opposta tesi sostenuta dal Tar di Milano.
La vicenda riguardava l’aggiudicazione di un appalto di un servizio di pulizia; oggetto del contendere era un criterio di valutazione dell’offerta tecnica, che l’Ente appaltante aveva previsto in termini sostanzialmente corrispondenti ad uno dei criteri elencati da ANAC nel bando-tipo n. 2 (relativo ai servizi di pulizia).
La natura giuridica dei bandi-tipo è incerta.
L’incertezza deriva da due previsioni del Codice dei contratti pubblici (D. Lgs. n. 50/2016) – peraltro riprodotte, in termini simili, nel testo del nuovo Codice, oggi all’esame delle Camere e che dovrebbe entrare in vigore dal 1° aprile prossimo – che appaiono difficilmente coordinabili tra loro:
- da un lato, l’art. 213, comma 2, che annovera i bandi-tipo di ANAC tra gli “strumenti di regolazione flessibile”; da tale previsione sembra dedursi la non vincolatività del bando-tipo (d’altronde, la stessa disposizione fa riferimento al ruolo di ANAC di favorire “lo sviluppo delle migliori pratiche”, evocando così le best practices tipiche della soft law);
- dall’altro lato, l’art. 71, che invece vincola gli Enti appaltanti ad attenersi ai bandi-tipo (“i bandi di gara sono redatti in conformità agli stessi”), salva la possibilità di derogarvi, ma con espressa motivazione, nella delibera/determina a contrarre.
Ciò premesso, il Tar Milano aveva ritenuto il bando-tipo “solo tendenzialmente vincolante” e, dunque, non da impugnare, mentre il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha affermato l’esatto opposto.
In particolare, i Giudici di appello – pur dichiarando di voler “glissare” sulla natura giuridica del bando-tipo, riconoscendola “dubbia” – hanno ritenuto il bando-tipo “immediatamente vincolante”, in quanto “atto presupposto del successivo bando e disciplinare di gara adottato dalla stazione appaltante”; di qui, l’affermato onere del ricorrente di impugnare – oltre alla clausola della disciplina di gara direttamente lesiva – anche la “presupposta” clausola del bando-tipo, che si colloca al “livello di regolazione immediatamente superiore”.
Con l’ulteriore conseguenza che l’operatore economico, in tutti questi casi, dovrà notificare il proprio ricorso anche ad ANAC.
La sentenza del Consiglio di Stato suscita delle perplessità, in quanto, a fronte della conclamata incertezza sulla natura giuridica dei bandi-tipo, “riversa” sull’operatore economico che intende agire in giudizio un onere di impugnazione aggiuntivo, a pena di inammissibilità del ricorso.
In questo modo, un deficit di chiarezza da parte del Legislatore finisce per risolversi in danno del privato, sul quale incombe un gravoso onere che rischia di minare il suo diritto – tutelato sia costituzionalmente che a livello euro-unitario – ad ottenere una tutela giudiziaria piena ed effettiva contro le gare e le aggiudicazioni che ritiene illegittime.
Ulteriori perplessità nascono, con riguardo al caso specifico, dal fatto che la clausola controversa riguardava un criterio di valutazione dell’offerta tecnica, ossia un ambito riservato all’ampia discrezionalità dell’Ente appaltante (art. 95, D. Lgs. cit.), tanto che la stessa ANAC nel bando-tipo ha precisato che i criteri di valutazione ivi elencati “sono esclusivamente dimostrativi e costituiscono meri esempi a supporto della Stazione appaltante, alla cui totale discrezionalità è rimessa la scelta dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica ritenuti più adeguati alla gara”.
Alla luce di ciò, la severa conclusione a cui è giunto il Consiglio di Stato appare quasi paradossale.
Avv. Matteo Parini