In ambito societario, una questione che spesso è all’origine di contrasti e controversie fra i soci è quella riguardante la corretta qualificazione delle somme che essi versano a favore della società.
È noto, infatti, che i soci possono effettuare dazioni di denaro molto differenti fra loro per natura, causa concreta e finalità, e ciascuna di esse è soggetta a una specifica disciplina, in particolare con riferimento al relativo rimborso.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, fra le più frequenti tipologie di versamento si distinguono:
- i finanziamenti soci in senso stretto, che sono veri e propri contratti di mutuo, ai sensi dell’art. 1813 c.c. tra la società ed il socio e devono essere iscritti a bilancio al passivo dello stato patrimoniale tra i debiti verso i soci, con la conseguenza che il denaro erogato deve essere restituito al socio che ha effettuato il pagamento;
- i versamenti “in conto capitale”, che vengono iscritti al passivo dello stato patrimoniale fra le riserve, sicché l’assemblea può discrezionalmente disporre di utilizzarli per eliminare le perdite o aumentare il capitale, e che non danno vita a crediti esigibili nel corso della vita della società, potendo essere restituiti al socio solo all’esito della liquidazione sociale ove vi sia un residuo da distribuire fra i soci, una volta effettuato del pagamento di tutti i creditori. Il loro rimborso è quindi “una mera eventualità, dipendente dalla condizione in cui verrà a trovarsi il patrimonio sociale al momento della liquidazione della società e alla possibilità che in tale patrimonio residuino valori sufficienti al rimborso dopo l’integrale soddisfacimento dei creditori.” (così Cass. n. 16049/2015);
- i versamenti “in conto futuro aumento di capitale” che sono causalmente collegati a un deliberando aumento di capitale e che danno diritto alla restituzione di quanto versato laddove l’aumento di capitale non sia deliberato entro il termine fissato, essendo venuta meno la causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale eseguita a favore della società.
Accade spesso tra i soci di società di capitali, soprattutto a ristretta base sociale, che le erogazioni di denaro vengano effettuate senza particolari formalità e senza specificamente indicare se la causa sia da ricondurre all’intento di finanziare la società o, diversamente, le dazioni siano da assimilare a conferimenti di un vero e proprio capitale di rischio. Come detto la differenza non è di poco conto, posto che, nella prima ipotesi, scaturisce un obbligo di restituzione, con o senza interesse, in capo alla società mentre, nel secondo caso, si va ad incrementare il patrimonio netto della società, senza determinare una variazione del capitale sociale nominale, e il credito diviene esigibile solo all’atto dello scioglimento della società e nei limiti dell’eventuale attivo di liquidazione.
Dell’argomento si è occupata recentemente la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 33957 del 17 novembre 2022, soffermandosi sui criteri utilizzabili per la corretta qualificazione delle erogazioni suddette ha precisato che “in funzione della qualificazione della dazione in denaro dal socio alla società quale finanziamento o come versamento in conto capitale o in conto futuro aumento di capitale, ove manchi una chiara manifestazione di volontà della società e del socio al momento della dazione di denaro dal secondo alla prima, la relativa chiave di lettura debba essere ricavata nella terminologia adottata dal nel bilancio, soggetto all’approvazione dei soci e le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto in bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento”.
Sarà pertanto importante da parte del socio, anche in ottica di propria tutela in caso di future controversie, indicare correttamente la causale del versamento e verificare che l’appostazione in bilancio dello stesso effettuata ne rispecchi l’effettiva natura e la causa.
avv. Francesca Marra