In Corte Europea si torna a discutere del rispetto del principio del ne bis in idem tra sanzione tributaria e penale per gli illeciti fiscali, principio che a livello sovranazionale è sancito dall’art. 4 Protocollo 7 CEDU.
In precedenza, la Corte Europea aveva giustificato un doppio binario sanzionatorio nel caso in cui tra i due procedimenti, tributario e penale, instaurati parallelamente e con scopi punitivi complementari vi fosse “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta” lasciando, però, detto vaglio all’apprezzamento discrezionale del giudice nazionale.
Quantomeno erano state fornite delle linee guida (se così possono essere definite): la risposta sanzionatoria nel suo complesso, per non ritenersi lesiva del divieto del ne bis in idem, doveva rappresentare un approccio integrato, unitario e coerente di punizione della condotta illecita, dove gli indici sintomatici di tale situazione dovevano essere rinvenuti nella diversità degli scopi in concreto perseguiti dai due procedimenti.
Successivamente, nel 2018 (C-524/15, Menci; C-537/16 Garlsson Real Estate; C- 596/16 e C-597/16 Di Puma e Zecca), la Grande Sezione aveva ritenuto che vi fosse violazione del principio qualora le due sanzioni applicate avessero avuto natura sostanzialmente penale e se quella inflitta per prima fosse già stata da sola idonea a reprimere il reato in maniera efficace.
Oggi in due cause pendenti avanti la Corte UE l’Avvocato Generale, nelle conclusioni, propone ulteriori criteri per evitare la violazione del ne bis in idem, ovvero deve esserci identità dell’autore del reato, dei fatti rilevanti e dell’interesse giuridico tutelato.
Onde evitare che la questione torni ad essere oggetto di stravaganti interpretazioni o di sotterfugi per evitare condanne degli Stati membri per violazione dei principi dell’equo processo e del “ne bis in idem“, viene anche specificato che l’identità dell’“interesse giuridico tutelato” non può limitarsi ad analizzare la qualificazione giuridica e la specificità delle fattispecie nazionali, ma deve essere “riaffermato alla luce dei fatti e del reato asseritamente commesso”.
Questo passo avanti, ovviamente, non deve far dimenticare i principi base della materia: “quando il procedimento tributario/amministrativo inizia a spiegare un effetto punitivo, al di là del recupero delle somme maggiorate degli interessi, o quando anche il procedimento penale è volto anche al recupero di qualsiasi somma dovuta, in tal caso, la differenza concettuale tra i due semplicemente scompare e scatta il divieto della duplicazione dei procedimenti ai sensi del ne bis in idem”.
Detto in altri termini, a parere dell’Avvocato Generale il presunto autore dell’illecito può essere punito due volte per lo stesso fatto solamente qualora il procedimento amministrativo sia volto unicamente al recupero della tassazione delle imposte non versate e quello penale alla prevenzione e alla repressione dei reati in materia tributaria.
avv. Federica Beltrame