L’art. 1, comma 257, secondo periodo, L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) ha modificato il criterio di determinazione dell’indennizzo dovuto dall’autore di opere abusive inamovibili su beni del demanio marittimo, distinguendolo da quello applicabile nell’ipotesi di mera occupazione di tali beni (individuato dall’art. 8 del D.L. n. 400/1993).
In particolare, la norma in questione prevede, con riguardo alla prima fattispecie, “l’applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell’indennizzo, parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi espressi nel precedente D.L. n. 400 del 1993”.
Con ordinanza n. 155 del 13 ottobre 2023, la Corte di cassazione, Sezione II civile, ha sollevato innanzi alla Consulta questioni di legittimità costituzionale della disposizione sopra citata, sul rilievo che il legislatore non avrebbe effettuato un equo bilanciamento tra l’interesse del privato alla stabilità dell’indennizzo e l’interesse pubblico consistente nell’opportunità di trarre dal bene demaniale – anche retroattivamente – la redditività “dinamica” propria del mercato. Da qui, il ritenuto contrasto dell’art. 1, comma 257, secondo periodo, L. n. 296/2006, con gli artt. 3 e 23 Cost., sotto il profilo della lesione del principio di affidamento.
Con la sentenza n. 70 del 23 aprile 2024, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondate le questioni sollevate, sostenendo che “l’affidamento maturato in capo ai fruitori abusivi di beni pubblici – sui quali siano stati realizzati manufatti che incidono irreversibilmente sulle aree del demanio marittimo – può essere considerato recessivo rispetto ad altri interessi in gioco, che sono legati non solo alla valorizzazione dei beni demaniali, al fine di ricavare da essi una maggiore redditività (in tesi corrispondente a quella ritraibile sul libero mercato), ma anche alla tutela di tali beni pubblici, in ambiti che incrociano altri delicati interessi di rilievo costituzionale, quali la tutela del paesaggio e dell’ambiente marino”.
Tale affidamento, infatti, pur essendo stato riconosciuto come “ricaduta e declinazione «soggettiva» della certezza del diritto” (Corte Cost. n. 108 del 2019) ed “elemento fondamentale e indispensabile dello Stato di diritto” (Corte Cost. n. 16 del 2017), non è tutelato in termini assoluti, dovendo anch’esso assoggettarsi al bilanciamento proprio di tutti i diritti e valori costituzionali.
Ne discende la legittimità costituzionale della modifica anche retroattiva di una disciplina normativa in senso sfavorevole all’interessato, purché nei limiti dei generali principi di proporzionalità ed equità.
A tale proposito, va rilevato come l’introduzione della disposizione oggetto del vaglio di legittimità da parte della Consulta risulti in linea con i predetti parametri, avendo posto fine alla sperequazione, generata dal precedente assetto normativo, tra chi avesse occupato il bene demaniale marittimo senza porre in essere attività comportanti la sua irreversibile trasformazione e l’autore di abusi edilizi sul medesimo: condotte che l’art. 8 del D.L. n. 400/1993 non distingueva sotto il profilo della determinazione dell’indennizzo dovuto, pur essendo evidente la maggiore gravità della seconda rispetto alla prima.
Quanto sopra, a giudizio della Corte Costituzionale, ben giustifica il sacrificio dell’affidamento di chi abbia realizzato opere in assenza di titolo abilitativo sul bene demaniale, in quanto “connesso a posizioni «acquisite sulla base di leggi che, a un più approfondito esame o a seguito dell’esperienza derivante dalla loro applicazione», hanno generato risultati iniqui (sentenza n. 56 del 1989 e ordinanza n. 432 del 1989)”.
avv. Gregorio Paroni